Ho pensato proprio a questa immagine in questi giorni ↑↑↑↑. La mia è stata una settimana molto disordinata in cui ho dovuto fare i conti con una mente molto assente, impegnata altrove, difficile da governare. Ho avuto migliaia di pensieri e, spesso, mi sono ritrovata a correre dietro a molti di loro, tentando di capire dove mi stessero portando.
Il risultato è stato uno sforzo inutile: è stato come se, in un prato, mi fossi messa ad inseguire tutte le farfalle che vede, prima una poi l’altra, tentando di catturarle tutte e non riuscendo a tenerne nessuna.
E questa è stata di nuovo una rivelazione: i pensieri non sono altro che formazioni mentali effimere e mutevoli.
Lo so perché io i miei li scrivo.
E più li scrivo, più li conosco.
E più li conosco, più mi sembra ragionevole prenderne distanza.
E infatti ho iniziato ad avere un rapporto un po’ più critico, distaccato, sospettoso verso i miei stessi pensieri.
Ormai sono quasi 4 anni che tengo un diario, quotidiano direi. È un luogo libero e aperto in cui dò una forma scritta a tutto quello che mi passa per la testa, dalle idee più concrete a quelle più vaghe, dalle mie preoccupazioni più serie fino alle mie visualizzazioni più effimere.
Sembrerà folle, lo so, ma mi capita di rileggere righe scritte poche settimane prima e di rimanere sorpresa di ciò che leggo: qualche volta mi sembrano parole non mie, idee strampalate di qualcun altro; qualche volta mi accorgo che le intuizioni geniali che mi sembrava di aver avuto, in realtà, sono solo dei vagheggi, senza senso. Alla James Joyce.
E so di essere fortunata a poterlo vedere perchè ci sono ancora miliardi di persone che credono a tutti i loro pensieri come facevo io. Anch’io credevo di potermi fidare dei miei pensieri, della mia mente attiva-brillante, del mio modo di guidarmi. Credevo che ogni pensiero che si generava qui nella mia immaginazione fosse un filo, un indizio, una rivelazione, un percorso “svelato” da seguire per trovare quello che cerco, quello che voglio, quello che amo.
In realtà, mi accorgo che no, non lo sono. Ho scoperto che la maggior parte sono:
– pensieri veloci e spesso automatici, risultato di una mente abitudinaria e paurosa
– qualche volta pensieri negativi o pessimistici o screditanti
– qualche volta pensieri effimeri, molto positivi e sognanti, come scie di luce nate così out of the blue, senza né capo né coda.
Ora so che di alcuni di loro NON mi posso e NON mi devo fidare… il punto è: ma di quali invece posso fidarmi?!?!
Nietzsche, per esempio, diceva di non fidarsi dei pensieri che arrivano quando siamo al chiuso e seduti, come le budella schiacciate tra il busto e le gambe.
Platone direbbe di fidarsi solo di quello che emerge mettendoli bene in ordine, fino a che diano armonia.
Per Kahneman, invece, la chiave è la lentezza e il giusto orizzonte temporale: dei pensieri a breve e brevissimo termine No, non bisogna proprio fidarsi.
Io? Io sto ancora cercando la mia risposta!