Le domande sono le mie migliori amiche. Sono come delle porte che adoro aprire a tradimento, senza preavviso e che mi portano in nuove stanze, nuove dimensioni.
Sono gli strumenti alla base del metodo scientifico, ma anche del metodo curā.
Non sono antipatiche come i giudizi, sono più coinvolgenti delle affermazioni e generano più energia delle semplici considerazioni.
Domande per generare innovazione
In genere, quando si entra a far parte di un contesto, di un gruppo o ci si interfaccia con una situazione (soprattutto quando si arriva dall’ esterno) ci si rende velocemente conto delle dinamiche che guidano i comportamenti di quel gruppo/contesto. Questa visione del principiante, di quello nuovo, facilita la creazione (velocissima) di uno schema mentale che rappresenta e spiega in qualche modo quella realtà.
Questo schema mentale tende, però, a rendersi conservativo. Una volta definito, difficilmente si rimette in discussione quello che si è appreso e che sembra funzionare. Un po’ per risparmiare energia e un po’ per autopresunzione, siamo tutti antropologicamente portati a non spezzare questo schema, almeno fino a che non ci diventa insopportabile o non si dimostra errato.
Il primo step per innovare, per approfondire, per acquisire nuovi punti di vista e una nuova visuale è aver voglia di mischiare le carte e cercare nuovi modi e nuovi schemi che spieghino una realtà o una situazione.
E le domande sono gli strumenti migliori a questo scopo. Lo sono perché arrivano in modo diverso, sembrano più divertenti, più personali ma anche meno giudicanti e fanno spazio per nuove risposte, per opinioni diverse, per nuova luce sulle cose.
Dopo una bella sessione delle mie domande la sensazione è quella di vederci meglio: ciò che era chiaro è ancora più chiaro, e quello che non ti convinceva, ora è nudo, pronto a farsi analizzare nel dettaglio.
Domande per dare feedback
Dare feedback ed esprimere giudizi è sempre un ambito difficile per chiunque.
Il pensiero di giudicare o ferire l’altro qualche volta ci attanaglia, abbiamo paura di sminuire il suo lavoro, di intaccare o rovinare una relazione.
Eppure.. il feedback è un elemento fondamentale sia per la crescita delle persone e delle organizzazioni, sia per l’apprendimento personale e di gruppo. È, in generale, un riscontro determinante per assicurare il buon funzionamento del sistema.
Anzi, il termine feedback deriva proprio dal contesto degli ecosistemi e delle scienze biologiche. Il feedback è un meccanismo che in italiano si chiama di “retroazione”: è infatti la capacità di un sistema di autoregolarsi tenendo conto delle condizioni esterne.
Una specie di agisco → registro → correggo.
Quando ci si avvicina a dei creativi, a degli imprenditori, a dei manager o, in generale, a persone che amano distinguersi per la loro bravura, intelligenza e competenza, ecco: è sempre molto pericoloso esprimere dei giudizi su ciò che fanno. Il rischio è di ferirli in modo grave.
Questi soggetti amano, in modo spiccato e quasi vocazionale, dimostrare qualcosa.
Amano mostrare di avere un contributo da offrire e qualcosa di interessante da dire. E tutto quello che dicono, che fanno e che offrono è come fosse una parte di loro esposta, mostrata, allungata agli altri ma mai donata completamente. Come non se ne staccassero mai definitivamente: come se restasse parte di loro.
Una critica, un giudizio o una parola sul loro operato è una critica, un giudizio e una parola su di loro direttamente. Non separano ciò che fanno da ciò che sono. Ricevere un apprezzamento fa crescere la loro autostima, ricevere opinione opposta significa subire un attacco.
Per toccare, guidare o smuovere questi soggetti, facili da ferire, occorrono frecce spuntate, flessibili e sottili. Occorre pungolare senza bucare, spostare senza graffiare.
Ed ecco che gli strumenti giusti sono le domande.Le domande sono un modo per valutare tutte ciò che fanno e dicono in modo “nuovo” che non li faccia sentire esposti ad un giudizio. Ma che però li faccia ragionare.
L’esempio di Pixar
In Pixar, per esempio, hanno inventato una cosa che si chiama Brain Trust.
Il momento feedback per i registi fatto in un contesto speciale, in una stanza dedicata e in un momento dedicato.
In sostanza i registi organizzano una piccola proiezione del film in bozza: riuniscono una platea di spettatori (tutti tecnici, registri e collaboratori Pixar) che guardano il film e poi hanno a disposizione un tempo libero in cui sono invitati a fare al regista decine e decine di domande pure, sincere, non filtrate.
I registi, così vulnerabili riguardo le loro creazioni, tremano di fronte a questo momento, ma lo vivono con entusiasmo perché non è un giudizio.
È una parte del processo creativo che ha risultati eccezionali: si riescono a vedere nuove dimensioni della storia, nuove occasioni di focus sui personaggi o nuovi risvolti e questo migliora il flow del film.
Ma qual è il segreto per fare buone domande?
Ecco i miei: li scrivo come li immagino io, come fossero le dita di una mano e con dei suggerimenti colorati.

- POLLICE (verso): porre domande di cui non sai la risposta. Altrimenti è un’interrogazione e non piace a nessuno.
- INDICE (no no): Fingersi/mostrarsi continuamente in disaccordo costringendo l’altro a convincerci, a dare giustificazioni e agevolando il suo percorso di ricerca nel tema.
- MEDIO (fuck): Chiedersi: come potremmo rendere questa cosa più facile/agevole/semplice perché possa farla/capirla anche uno che non è un professionista/esperto/competente?
- ANULARE (il più debole): Come farebbe la natura a risolvere questo problema?
- MIGNOLINO (piccolo): Faccio finta di essere un bambino o un estraneo: come vedo questa cosa da fuori, senza conoscerne i presupposti?
Queste sono le regole, ma manca il presupposto. Io voglio aprirti il mio cuore e la mia mente per cercare insieme nuove possibilità. Voglio esserti di aiuto e metto la mia curiosità e la mia immensa cura alla base nostra relazione.